La luce per l’inverno - Daniele Ricardo Vaira, nota di lettura
«i vivi hanno raccolto / la luce per l’inverno».
questi i versi da cui è tratto il titolo del libro di Daniele Ricardo Vaira, La luce per l’inverno (Arcipelago Itaca, 2025).
non appare infecondo tentare di inserirsi nel mondo poetico di questa silloge a partire da questa citazione, perché testimonia una delle caratteristiche, forse, fondative della raccolta: il tema dell’attraversamento.
duplice, per la precisione.
i testi della silloge appaiono, infatti, sia attraversanti che attraversati.
sono entità in cammino, mobili nel loro muoversi nello spazio intimo della voce poetante e irrequieti al proprio interno, animati da una forte densità compositiva, fatta di immagini concretissime, dettagliate («Accendo una candela / con un euro francese / arrugginito al centro») ma di grande potenza straniante, non estranee a slanci visionari («Una sirena si perde / in un bicchiere / la avvicino all’orecchio / la sento cantare»).
movimento, quindi, all’interno di un vissuto chiaramente intuibile, ma non debordante. rilevante, in questo senso, la presenza di un “tu”, verosimilmente femminile, cui la voce poetante si riferisce con insistenza, attraversando ricordi che emergono in maniera non cronologica («Madrid ci ha sposati in jeans / una bottiglia di Rioja reserva / i sorrisi tra gli anelli di Saturno»).
sussulti della memoria, che vengono resi poeticamente attraverso un linguaggio ritmico, molto scandito (ma mai monotono) e immagini di grande nettezza visiva, capaci di creare cortocircuiti di senso che allargano l’orizzonte dei testi, aprendoli a una dimensione altra che supera quella della rievocazione strettamente biografica.
si potrebbe forse parlare di traduzioni poetiche di un trascorso, che riappare sulla pagina trasformato, riferito ma non vincolato all’esperienza individuale, pronto a essere accolto da chiunque voglia prestargli orecchio.
in questa peculiare raffigurazione del passato e del presente, che si muove per cerchi concentrici, si può forse trovare il filo, diciamo, narrativo che regge un impianto macrotestuale “ritornante”, mai esausto di riaprire discorsi già affrontati ma non esauriti.
un’ulteriore, e significativa, costante del testo, autentica chiave di volta della tenuta complessiva del libro, è certamente lo stile, rinnovato in ogni componimento ma sempre riconoscibile, animato da una voce poetica chiara e distinta.
una caratteristica particolarmente apprezzabile del dettato che anima La luce per l’inverno è la sua attenzione alla resa tattile e materica degli oggetti, la cui forma e sostanza sembra pulsare al di sotto dei polpastrelli del lettore («A Fuegorrey rubano / i vestiti sui sampietrini / e io cerco le vene di mio padre / stringendo un quadrifoglio»).
significativa, inoltre, è l’intonazione dei testi, coloriti da un senso di dolore mai esibito, condensato in poche parole, semplici, ma capaci di rendere in poesia una sofferenza che agisce in modo sotterraneo, figlia di una necessaria esplorazione, anche chirurgica, dell’universo spesso memoriale che soggiace a molte poesie («In silenzio, sul crinale / crescevo i miei rami / le rime che sanno / ferire l’autunno»).
in chiusura, la raccolta presenta una sezione di testi manifestamente dedicati alla madre. si tratta di componimenti particolarmente sentiti, in cui la dimensione di complessità visionaria cede un poco il passo a un dettato più lineare (ma pur sempre ricco di immagini), “addolcito” dalla sensazione di sicurezza che il genitore comunica.
non a caso, il libro, i cui punti di “partenza” risalgono addirittura alla fanciullezza («vediamoci sotto l’infanzia / portando un cestino di luce») sembra trovare un approdo proprio tra le braccia della madre, la cui presenza calmante emerge con forza nell’ultima strofa dell’ultimo testo presente nella raccolta. In esso il lettore e la voce poetante stessa sembrano scoprire, forse, la vera essenza di quella luce necessaria per affrontare a testa alta l’inverno, guidati dal bagliore di una stella che non smette mai di brillare, fosse anche solo attraverso il ricordo:
La strada dissestata
l’inizio di una fiaba
mia madre mi cullava
in mezzo all’erbarosa.
***
Alcuni testi estratti da La luce per l’Inverno, di Daniele Ricardo Vaira, Arcipelago Itaca, 2025
Ogni goccia
imbriglia le mani
abbraccia il collo
di foglie rinate
In silenzio, sul crinale
crescevo i miei rami
le rime che sanno
ferire l’autunno
La finestra ora urla
su di me, affacciata
un’altra donna
mi riempie di spine.
***
Spoglio il tuo silenzio
bottone a bottone
la verità
una schiena che si piega
alle fusa di novembre
Frequento fantasmi
si infilano nei fianchi
non hanno braccia
seni mal riempiti
Baciarli è diventare
ghiaccio, acqua
riflesso
nel lavandino.
***
Coi regoli nel naso
richiamo le stagioni
rantolano i lupi
tamburi d’acquaragia
Il caldo si apre a bolle
le foglie intrise d’odio
difendono lo zefiro
stivali sui balconi
Non riesco a non marciare
mi pungono matite
sprofondano le madri
su fossi di sospiri
Rimbombano dei sassi
le costole del suono
non torna più nessuno
dal giogo del perdono.
***
Articolo a cura della redazione di Heimat
Immagine utilizzata: foto della copertina del libro, © Arcipelago Itaca, 2025
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