Alberto Pellegatta - maestri di musica e immagini

premessa fondamentale: questo articolo fa parte di una serie di scritti che non sono articoli di critica letteraria.

non si intende, con questi contributi, approfondire in maniera scientifica un’opera o un autore. piuttosto, il desiderio è quello di omaggiare, pur in modo puntiforme, alcuni grandi maestri della poesia a cui la redazione si ispira molto.

sgombriamo il campo: la poesia di Alberto Pellegatta è lontana dall’idea, romanzata, che si può avere della scrittura poetica se non si è frequentatori assidui dei testi in versi.

ed è un bene.

Pellegatta ha, tra le altre cose, una peculiare abilità tanto rara oggigiorno quanto cara alla redazione di Heimat: sa bucare la pagina mitragliandola di immagini.

e non immagini qualunque, ma cortocircuiti logici, scatti improvvisi e inaspettati che sobillano la fantasia di chi legge, la chiamano alla rivolta.

a voi il piacere di tuffarvi in questo splendido testo.

 ***

LA PENULTIMA

Ora che il pianeta ha una scadenza

noi della penultima generazione

possiamo dirlo: è una qualità inodore

appartenente a un imballaggio e nel polmone

c’è una stazione sciistica.

 

Voglio solo dire che si è spostato

da quando l’abbiamo visto l’ultima volta.

 

Le betulle rimano sempre con i rimorsi

senza sapere se cadrà di sabato o alle spalle

se il numero di vacche sia superiore ai mirtilli

nei ripieni di carne.

Il ragazzo che mi piace non pensa a me

ma al seminterrato dove beve vodka.

 

Il cielo piscia lucidi boschi sulla terra

e gli innamorati litigano sopra le viole.

Alberto Pellegatta, Cetacei nel mojito, Stampa 2009, 2022.

 ***

e adesso come si comincia a scrivere di questo testo?

proviamoci partendo dalla prima strofa che, forse, può suggerire una delle possibili letture del testo, senza pretendere di esaurire le numerose facce di questo componimento prismatico.

si parla della fine del Mondo.

il titolo trova eco proprio nei primissimi versi, che si aprono con un tono a metà tra il la confessione rassegnata e l’affermazione. La penultima generazione, quindi.

si comincia sul bordo di un’imminenza, vicini alla conclusione della vicenda umana sul Pianeta, prossimo alla sua «data di scadenza».

non c’è odore. anzi, sembra quasi di sentire, in modo sinestetico, la carezza soffocante della plastica, la stessa degli imballaggi citati nel verso successivo e che da tempo strozzano il nostro Pianeta.

anche l’aria ha qualcosa che non va: è affollata, rumorosa e inquinante come l’impianto di risalita di una stazione sciistica, che silenziosamente ha preso casa «nel polmone».

si potrebbe proseguire lungo questa linea interpretativa, andando a cercare il dato concreto che alimenta le parole scelte con perizia da Pellegatta, ma non sarebbe opportuno.

non lo sarebbe perché si trascurerebbe l’altra faccia di questa medaglia, le immagini-cortocircuito, spiazzanti tanto quanto una stazione sciistica in un polmone.

sembra quasi di vederli, tanti piccoli sciatori che si lanciano giù dalla rete fittissima di piste-bronchi-alveoli.

dunque, si svela qui uno degli elementi di grandezza del testo: la stratificazione.

La penultima è un testo pieno di doppi, tripli fondi, capaci di aprire l’immaginazione del lettore aprendo sé stessi tutte le volte necessarie. Senza mai tradire l’aspettativa di una rinnovata e inesausta sorpresa, le parole di Pellegatta vibrano di una carica non scevra di una sottile ironia e decisamente incisiva, capace di scavare il bianco della pagina.

ecco allora le «betulle» che «rimano sempre con i rimorsi», forse rimpianto gelosamente custodito per la natura snaturata e immagine che mostra un sentimento potentemente lirico, ma lontano, nella forma, dal lirismo sguaiato. sembra quasi di sentirle, le fronde delle betulle che stormiscono e accompagnano pensieri malinconici.

ancora, perché è bello perdersi in questo labirinto, il cielo che, effettivamente, piscia «lucidi boschi sulla terra» (notevole la “t” minuscola) facendo piovere su alberi già cresciuti e dando vita a sementi ancora sotterrate. ma questa interpretazione, allo stesso tempo, non svilisce la carica onirica e a tratti surrealista di un cielo divinizzato che, iracondo, scaglia lunghi getti di alberi secolari a distruggere i villaggi di contadini terrorizzati.

si potrebbe andare avanti a lungo, ma è giusto fermarsi qui.

La penultima è un testo ideale per essere letto, riletto e poi letto ancora, all’infinito, pronti a scorgere il baluginio sempre rinnovato e straniante delle parole poetiche quando le si lascia libere di brillare

Fotografia di copertina scattata da Antonio Riccio, da noi utilizzata per gentile concessione di Stampa 2009.

Articolo a cura della redazione di Heimat

© heimat - rifugio poetico (no copyright sul testo poetico, che viene riprodotto per gentile concessione della Casa Editrice citata in calce al testo e/o del detentore dei diritti su di esso)

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